Lettura critica della felicità

Esortazioni sul come raggiungere la felicità, stato di beatitudine nel quale sarebbero appagati, in modo stabile, tutti i desideri, vengono propinate da più parti con tutti i media, ma sembra mancare la sottolineatura del fondamentale: essa non è un modello prestabilito a cui aderire ma viene dal soggetto costruita e, parallelamente, dal contesto particolare generata. Di conseguenza non viene assegnata la debita importanza al concetto di espressione delle proprie potenzialità in un contesto che offre opportunità.

Se la felicità fosse raggiungibile da tutti allo stesso modo, allora varrebbero i “se… allora…”, ovvero esortazioni a comportarsi in un certo modo, a possedere determinati oggetti, ad avere un certo stile di vita per diventare magicamente felici. Una ricetta standardizzabile non esiste poiché non esiste un essere umano standardizzato. Ognuno, con le sue peculiarità, è inserito in un determinato contesto all’interno del quale si relaziona con altri individui. Ed il modo in cui vive le relazioni è collegato al modo con cui si rapporta con gli oggetti e li desidera. L’appagamento di quel desidero che ha intrapreso la strada del possesso è impossibile, mentre il desiderio che percorre la strada dello scambio si trasforma in opportunità.

Le crisi, umane e di sistema, ci inducono a rivedere i modelli che abbiamo per muoverci nei vari ambienti. In un primo momento tendiamo a riproporre testardamente quegli stessi modelli che l’hanno generata ma una riflessione, il pensiero, ci può portare ad un’evoluzione, uno sviluppo. Nuovi obiettivi emergenti dallo scambiare tramutano le crisi in possibilità.

La felicità come diritto è presente nella Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America, che ne annovera il perseguimento (“pursuit of happiness”), mentre nella Costituzione italiana si parla più esplicitamente di “sviluppo della persona”, proprio ad evidenziare la soggettività della realizzazione personale, l’unicità della storia di ognuno, con le proprie aspirazioni, anche se inserita in una cornice comune che, però, non impone modelli ma garantisce possibilità di essere artefici del proprio cammino.

La felicità materializzata entro dimensioni di possesso e consumistiche non permette sviluppo, miglioramento, raggiungibili invece nel confronto, anche sofferto, spesso critico, con l’altro. Un finale del tipo “E vissero tutti felici e contenti…” non è mai stato entusiasmante. Le storie genuine, quelle vissute umanamente, non liquidano la narrazione in modo scontato e non si nutrono di felicità effimere, illusorie, ma soprattutto eterne, da dover raggiungere in base a scelte solo in apparenza libere. Scelte condizionate da chi promette l’irraggiungibile. L’entusiasmo per non farsi abbattere dalle inevitabili difficoltà e la forza di affrontarle ci può venire solo da queste consapevolezze.

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